Il titolo di questo
post è tratto dalla frase di una canzone del cantante rapper, Nesli.
Ma non sarebbe
difficile trovare frasi simili in migliaia di canzoni italiane o straniere. Ma
non solo. Ci sono vaste produzioni letterarie sia in prosa che in versi il cui
tema è l’amore. L’amore desiderato, l’amore incompreso, l’amore frustrato,
l’amore impaziente. Insomma l’amore in tutte le salse. Una cosa sembra
evidente: siamo mendicanti dell’amore, un amore che ci manca tanto, che tanto
ci fa soffrire, di cui avremmo diritto, ma che, in un modo o nell'altro, non è
stato rispecchiato. Mi sovviene proprio adesso un’altra frase, una vera
invocazione, tratta da una canzone di Zucchero, “Un’overdose di amore”, che
così recita: “Ho bisogno d’amore per Dio perché se no sto male”. Ecco: Il
cantante fotografa la situazione così come sembra essere, senza troppi
fronzoli. Mi chiedo solo chissà quanto sia consapevole della verità di ciò che
dice. Si parla e si scrive tanto d’amore perché è proprio l’amore il grande
assente in questa nostra vita e nelle nostre relazioni. Amori non detti, amori
taciuti, amori timidi, amori disperati, ma pur sempre “Desideri di amore e di
essere amati”. E allora perché tanta difficoltà a intessere relazioni affettive
reciprocamente soddisfacenti anziché limitarsi a ‘scrivere’ e ‘parlare’
d’amore? Sembra che l’uomo di oggi sia educato a non chiedere e non manifestare
il suo bisogno di affetto…e allora è meglio scriverne e cantare.
Perché tutto questo?
Perché questo ‘vuoto’ d’amore, questa infelicità, questo sentimento di
estraneità a se stessi e di mancanza di senso? A questo punto la risposta
sembra scontata e ovvia: la cura e l’amore non hanno strutturato la nostra
personalità così come la malta tiene insieme e coesi i mattoni di una costruzione
perché sia stabile e non ceda. Naturalmente la società ci offre tanti
‘surrogati’ dell’amore: dalla religione, al gioco, al tabagismo, alle
ideologie, alla politica, al sesso, alle sostanza stupefacenti, alle dipendenze
affettive, dipendenza da internet, passando per i vari e mutevoli ‘status
symbol’ come la laurea, il cellulare di ultima generazione, la magrezza e chi
più ne ha più ne metta! Eh si. La società, da madre amorevole, ci viene in
aiuto. Non parliamo poi della religione(per noi occidentali) cristiana che ci
presenta Gesù come il “Dio dall'amore incondizionato” e noi che, proprio di
quell’amore(incondizionato) sentiamo il bisogno, diventiamo ferventi credenti,
rimettendoci, troppo spesso, la salute mentale. In molti casi, però, il
surrogato funziona; ci riempie in modo illusorio la vita. Ma il prezzo da
pagare è molto alto: la propria autenticità, la rinuncia ai propri sentimenti e
il tradimento di sé. Senza parlare del buon senso e della ragione: in nome di
Dio i più rigidi ferventi cristiani, prima, mussulmani, poi, non hanno esitato
a uccidere e a fare stragi. Ma davvero il ‘buon Dio’ vuole stragi oppure le
ideologie religiose, politiche, razziali e sessiste sono soltanto strumentali
al nostro bisogno di manifestare pulsioni aggressive di tutt’altra origine?
Un’origine di cui “si deve tacere” a prezzo di tanto male. Ma ne vale davvero
la pena? Perché fino a quando continueremo a rimanere ‘i bravi figlioli’ dei
nostri ‘buoni genitori’ idealizzati troveremo sempre “l’altro”, il diverso, il
dissidente su cui proiettare la nostra aggressività. Mi pare che il costo di
questa “ostinata cecità” sia pagato dalle generazioni successive in un circolo
vizioso senza fine. Da qualche parte ho letto che “Occhio per occhio rende il
mondo cieco”. E l’utilizzo compulsivo del comportamento agonistico in “funzione
vicariante” della propria autostima(falso Sé) non potrà che continuare a
portarci a rapporti sempre più tesi e ad angustiarci la vita nonché a politiche
aggressive e tutt'altro che democratiche. Anche quando si servono del ‘vessillo
democratico’ in realtà molte nazioni celano ‘lupi rapaci’ che servono ad un
solo padrone: il personale ‘demone’ della fama e della popolarità, manco a
dirlo altri ‘surrogati affettivi’.
Ormai le ricerche e gli
studi sull'attaccamento non lasciano più spazio a dubbi: ad un‘infanzia
infelice e negata, ad un attaccamento insicuro e, peggio ancora, ad un
attaccamento disorganizzato corrisponde un adulto violento e distruttivo,
infelice, senza radici, ansioso e/o depresso. Il bambino che siamo stati soffre
dannatamente per la mancanza di ciò che è un suo diritto ma che la cultura, incarnata dalla madre, gli
nega: l’amore incondizionato, l’accettazione e il riconoscimento. Le relazioni
affettive primarie sono il collante della nostra personalità, di una
personalità sicura e coesa. Il nostro sentimento di sicurezza e di fiducia è
mediato dalla ‘qualità’ della relazione di attaccamento con il nostro
caregiver. Una figura di attaccamento responsiva e sintonica rispetto alle
richieste di cura e protezione del bambino crea i presupposti per
l’introiezione della sicurezza relazionale affinché diventi una dimensione
intrapsichica e dia vita ad un attaccamento sicuro unito al piacere di stare
con i propri simili. Al contrario, una relazione primaria carente e difettuale
porterà al fallimento del fondamentale sentimento di appartenenza e di affiliazione, ad un attaccamento insicuro
precursore di un individuo emotivamente instabile e non adattato, un “estraneo
a se stesso e agli altri” con un ‘carico di rabbia e aggressività’ ingestibili
e pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Un individuo che ‘compete’ per il
proprio dominio e per soddisfare i ‘propri bisogni narcisistici’ anziché
‘cooperare’ con gli altri per costruire il ‘bene comune’; quella politica di
“welfare” di cui tanto parlano i politici, ma che è ben lungi dall'essere
realizzata.
Per concludere voglio
citare le parole dello scrittore tedesco Hermann Hesse: “Credo che nonostante
la palese assurdità, la vita abbia nondimeno un senso; io mi rassegno a non
poter comprendere questo senso supremo con l’intelletto…percepisco la voce di
questo senso nei momento in cui sono realmente vivo e perfettamente sveglio”(Da
“Il mio credo”, 1957). Riferisco questa citazione perchè anch'io quando sono presente
con tutto me stesso nel ‘qui e adesso’ della mia vita e la vivo intensamente
sento di ‘esser-ci’ con tutto me stesso.
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