Purtroppo non passa
giorno che i rotocalchi quotidiani e i nuovi media non ci propongono storie di
(stra)ordinaria follia che hanno per protagonisti stupratori, killer seriali,
masochisti, alcolisti, depressi, tossicodipendenti e chi più ne ha più ne
metta. Ma c’è un ‘fil Rouge’ che lega tutti questi personaggi: una comune
infanzia rimossa e negata. In realtà questi disturbi, sebbene molto eterogenei
tra loro, hanno un unico, denominatore: un’infanzia infelice caratterizzata
dall’ insensibilità dei genitori a sintonizzarsi con i bisogni e le aspettative
di rispetto e accettazione del bambino. Infatti i disturbi della sfera
psichica, dai più seri a quelli più comuni nonché quei sentimenti di cronica
insoddisfazione, di sottile infelicità, e di generale inquietudine trovano
tutti la stessa origine nelle relazioni primarie del bambino con i suoi
caregivers.
Ciò non stupisce
affatto, sebbene siano in molti a ‘giurare’ di avere avuto un’infanzia serena e
perfetta. Se vi capitasse di leggere la biografia di un personaggio storico o
letterario o filosofico troverete ben poche notizie sulla sua infanzia che viene,
in genere, riassunta con la più classica delle espressioni, come ‘felice e
spensierata’. Certo, l’infanzia dovrebbe essere felice e spensierata, ma
purtroppo è sempre più uno stereotipo.
Dicevo poc'anzi che ciò
non stupisce poiché viviamo in una cultura ‘Adultocentrica’ nel senso che le
istituzioni sociali sono incentrate sulle esigenze ed i bisogni dell’adulto,
ignorando quelli dei bambini ‘tanto sono piccoli: cosa vuoi che capiscano’? Non
si capisce perché siamo giustamente indignati di fronte alla crudeltà subita
dagli adulti e, invece, diventiamo "stranamente" insensibili davanti
alla sofferenza del bambino come se quest’ultimo potesse e dovesse digerire
tutto il pattume che gli adulti gli riversano addosso.
Ma vi è ormai una mole
di studi epidemiologici, di osservazioni cliniche ed empiriche che dimostrano
quanto il bambino sia recettivo, sensibile e predisposto ai rapporti
interpersonali sin dall'inizio della sua vita. Ma si tratta di conoscenze
relegate in un ambito specialistico, come se non riguardassero ‘i nostri
bambini’.
In alcuni casi, nei
migliori dei casi, le persone sanno che i bambini hanno bisogno di affetto, di
cure e sostegno allo sviluppo, ma si tratta di una conoscenza meramente
razionale, tanto per essere ‘up to date’ ovvero al passo con i tempi. Costoro
‘predicano bene, ma razzolano male’ nel senso che non mostrano alcuna
disponibilità all’ ascolto empatico dei propri figli. Ma perché la nostra
cultura continua pervicacemente a negare la natura distruttiva dei
comportamenti maltrattanti ai danni del bambino il che implica abusi,
trascuratezza emotiva e neglect?
In effetti vi sono
forme sottili di maltrattamento che non sono né appariscenti né eclatanti ma
che sono reiterate e col tempo si cumulano. Si tratta del trauma cumulativo
evolutivo cui è esposto il bambino dalla figure che dovrebbero proteggerlo e
che invece gli infliggono il trauma nell’ indifferenza comune e condivisa. Gli
effetti nel tempo di questo trauma cumulativo non sono meno carichi di
conseguenze cliniche che sono sotto gli occhi di tutti. Si va da forme ansiose
e depressive a disturbi di personalità complessi. Ciò che li accomuna è
l’inadeguatezza dei genitori e la loro incapacità di amare, offrendo al bambino
una “base sicura” da cui emerge, introiettata, la rappresentazione di sé, del
mondo e degli altri. Ecco: l’ostacolo maggiore al disvelamento della verità
dell’infanzia è proprio questo: Le figure maltrattanti sono coloro che
dovrebbero assicurare protezione e conforto, i genitori. Il fatto che siano
loro a traumatizzare il bambino è, malgrado le evidenze cliniche e
sperimentali, tutt'oggi un tabù che farà delle piccole vittime i futuri
carnefici.
Un’infanzia maltrattata
genera, a volte, mostri, ma di sicuro genera infelicità e insoddisfazione. Il
prezzo di tutto questo lo paga tutta l'umanità. Lo scrivente vuole mettere in
evidenza le sofferenze dei bambini e rendere manifeste le conseguenze dei
maltrattamenti loro inferti sull’ intera collettività. Di più. Le esperienze
più traumatizzanti non scaturiscono dai disagi ambientali. L’evento più
devastante, in quanto fonte primaria di conflitti e ambivalenze, è la violenza
dei genitori. La necessità di mantenere l’idealizzazione dei propri genitori è
da sempre stata un potente deterrente per la comprensione degli eventi causali
che originano l’infelicità e la sofferenza. Spesso il dolore connesso a quelle
relazioni infelici non può essere elaborato perché sarebbe troppo intollerabile
scoprire che i ‘buoni genitori’ sono stati, volenti o nolenti, gli artefici
della propria insicurezza e sofferenza. E allora quel silenzio rende l’adulto,
ex bambino maltrattato, una sorta di ‘bomba ad orologeria’. Infatti persone
stimabilissime commettono i delitti più assurdi e ‘incomprensibili’. Ma ciò che
si vuole sottolineare è che se adottiamo l’ottica del trauma evolutivo i
‘delitti’ commessi quanto i ‘sintomi’ psichici e somatici diventano, non solo
comprensibili, ma possono costituire il punto di partenza per acquisire una
maggiore consapevolezza di sé ed aprirci un mondo nuovo. Senza parlare dei
benefici che tutta la collettività ne trarrebbe in termini di realizzazione,
pace, condivisione. Non è affatto giusto che la mia ‘cecità’ debba ricadere
sulle future generazioni e sulla collettività come atti di teppismo, terrorismo
e quant'altro.
L’estensore del presente articolo non è uno
‘specialista’ ma da circa tre settenari di psicoterapia ha effettuato
un’autentica discesa agli inferi di un passato dissociato e rimosso fatto di
abbandoni ripetuti, di abusi fisici e sessuali, di menzogne spacciate per
‘amore’, dalle persone per cui avevo, come molti, un’autentica venerazione, di
traumi relazionali evolutivi, più sottili, ma non meno disturbanti. Quei
‘microtraumi' che passano ‘inosservati’, anche perché condivisi dalla maggior
parte degli adulti, minano alla base la sicurezza e la felicità del bambino,
dando vita a adulti insoddisfatti, infelici e ad una società autodistruttiva.
Il tutto condito anche dall'avallo religioso: Gesù non è il figlio che il padre
sacrifica per la nostra redenzione alla stessa stregua in cui il bambino è
sacrificato dai suoi stessi genitori i quali si sentono ‘autorizzati’ da Dio
stesso dal momento in cui quest’ultimo chiede ad Abramo, per saggiare la sua
fede, di immolargli il proprio figlio Isacco? Un padre che immola il proprio
figlio è un padre-sadico poiché si arroga il diritto di vita e di morte sul
figlio, agnello da macello. Quale è la conseguenza di una simile ‘imposta’ più
che "proposta" religiosa? E’ questa realtà che ci troviamo a vivere.
Non dovremmo meravigliarci se tanti ‘santi’ si identificano con la vittima, il
figlio di Dio, nel versante masochistico oppure nel versante sadico nel momento
in cui questo stesso santo, dissociandosi dal suo stesso corpo, ‘fustiga
(santamente) il suo corpo’ per liberarlo dalla concupiscenza.
Eppure se comprendiamo
che la sofferenza patita verrà replicata sui propri figli come oggetti
disponibili e non come “soggetti d’amore”, se ne prendiamo consapevolezza
attraverso la progressiva elaborazione del male che i nostri genitori ci hanno
inflitto “per il nostro bene”, noi ci possiamo liberare dai sintomi
psicopatologici vari e da schemi distruttivi ed autodistruttivi. Non ci sarebbe
bisogno di ‘proiettare un paradiso e la felicità’ in un ‘mondo altro’ poiché
avremmo finalmente compreso che il rispetto delle istanze del bambino è alla
base di un’umanità più consapevole non più accecata da difese varie, prima fra
tutte: l’idealizzazione dei propri genitori che ostacola il riconoscimento del
Male che costoro ci hanno impunemente inflitto. Sembrano ormai maturi i tempi
di sondare le cause primarie della sofferenza psicopatologica, senza voler
trovare ‘rimedi’ inutili, fermandosi agli ‘effetti’ che queste sofferenze,
nutrite del silenzio collettivo, producono sul singolo individuo e sulla
collettività di cui è parte. Come già detto sono proprio i traumi ripetuti e
sottili che godono della condivisione generale che danno vita a sofferenze,
problemi psicologici ed infelicità. A tal fine una strofa di una poesia di
Emily Dickinson sembra fare eco a quanto sostenuto in questo articolo “Non a
colpi di clava, né di pietra si spezza il cuore; una frusta invisibile, sottile
conobbi io, e staffilò la magica creatura fino a che cadde”.
Probabilmente è questa
sofferenza silente e sottile, per questo più subdola e perniciosa, l’origine
della nostra infelicità e la ricerca ‘compulsiva’ di ‘rimedi’ personali non
ultimo le dipendenze patologiche da sostanze e senza sostanze, come le
dipendenze affettive, che riducono chi ne è affetto a vivere una vita ‘per
procura’. questo il più grande ostacolo alla presa di coscienza della “qualità
relazionale” delle nostre interazioni primarie e pregresse che informano e
mediano le interazioni sociali dell’ hic et nunc: il dolore e il timore
connesso alla indisponibilità ed inadeguatezza dei nostri genitori. Diciamolo
pure: scoprirsi non amati fa male poiché mette in crisi il normale narcisismo
del bambino. Tuttavia, vi invito a fare questo percorso poiché sperimento il
benessere e la gioia di vivere che dovrebbe essere appannaggio di ogni uomo.
Come ha scritto K. Gibran: “Quanto più vi scava il dolore, maggiore sarà la
gioia che potrete contenere”. Le stesse difficoltà di modulazione delle
emozioni di cui gli ’eccessivi’ scatti di collera, l’odio incomprensibile e la
distruttività ne sono la dimostrazione, nascono dalla perdita dell’empatia di
cui un recente saggio di B. Cohen ci illustra le basi neurofisiologiche
compromesse durante l’infanzia dai ‘sottili’ episodi traumatici ripetuti.
Sembra che i media si
occupino di ‘cronaca nera’ allo scopo di soddisfare ‘desideri inconfessabili’,
mentre le ‘tavole rotonde degli esperti del settore’ avanzano astruse ipotesi
sulla genesi del male. Mai ho sentito parlare di maltrattamenti infantili come
fattore causale di comportamenti violenti in età adulta.
Perché questa ostinata
cecità? La Miller, nei suoi bellissimi saggi, metteva l’accento sul bisogno di
preservare l’idealizzazione dei propri genitori e della propria infanzia perché
scoprire di non essere stati il centro dell’attenzione affettiva dei propri
genitori è carico di dolore cocente e intollerabile.
Eppure, questa profonda
perdita e dolore possono, col tempo, essere elaborate e restituirci alla
integrità psicofisica originaria, alla gioia di vivere del bambino troppo precocemente
sacrificata. Senza contare l’incalcolabile beneficio di un’umanità più
consapevole e naturalmente empatica, ormai liberata dai sentimenti di odio e di
distruttività. La mia non è utopia né un miraggio. E’ frutto di un’esperienza
di cambiamento che ha richiesto, sì, quattro lustri, ma adesso mi ha restituito
a me stesso.
Non abbiate paura di
riprovare l’antico dolore poiché “quanto più il dolore vi avrà scavati, tanta
più gioia potrete contenere”(Gibran, Il profeta)
Concludo menzionando
una frase di Einstein che fa proprio al caso nostro:
“Il mondo non è in
pericolo perché ci sono persone che fanno del male, ma perché ci sono persone
che lasciano fare”.
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