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PERFEZIONISTA? NO, GRAZIE



"Non ti preoccupare per la perfezione: tanto non la raggiungerai mai!" recita un aforisma. E' vero; ma molti invece tendono a raggiungerla e si sottovalutano e si biasimano quando non raggiungono il loro obiettivo. La perfezione non appartiene agli esseri umani che sono, per natura, fallibili e malgrado questa verità empirica e assiomatica, non poche persone vivono nello sforzo continuo di raggiungerla. Essi si ritengono di "valore" e di successo solo a condizione di riuscire a raggiungerla. Naturalmente questo stile di vita votato al perfezionismo ha un prezzo molto alto: Il proprio benessere e la propria felicità. Il perfezionista compulsivo vive sempre sotto tensione per adeguarsi a quell'ideale dell'Io, di freudiana memoria, che si è posto come mèta imprescindibile e come misura del suo "valore". Egli deve essere sempre e assolutamente adeguato e di successo, sempre al massimo delle sue possibilità. Una minima imperfezione diventa una frustrazione intollerabile, si autobiasima per questo, rivelando una scarsa autostima. La persona sa, da un mero punto di vista speculativo, che la sua idea di perfezione è una pretesa irrazionale, ma sente di avere il "bisogno" di raggiungere questi obiettivi perfezionistici. Si tratta di un "bisogno cognitivo", un "nucleo nevrotico" dal quale non riesce venire fuori. Indubbiamente è "desiderabile" essere sempre all'altezza e di successo. ma quando alla "desiderabilità" si sostituisce un "imperativo categorico", allora siamo nella nevrosi perchè "siamo ci sentiamo costretti a fare e dare sempre il massimo". Uno psicoanalista classico direbbe che la persona ha un Super-Io troppo rigido e inflessibile, e non avrebbe torto poiché all'origine abbiamo la necessità inconsapevole di adeguarci ad un ideale di perfezione per soddisfare un proprio bisogno di affetto e di attenzioni. Tuttavia, essendo un "surrogato affettivo" e non essendo sovrapponibile la prestazione e l'affettività, la mèta del SMI dell'attaccamento non viene mai raggiunta (se non in modo effimero e illusorio). Il fatto di mettere sullo stesso piano "prestazione" e "valore personale" sembra essere la "regola sociale" per eccellenza tanto essa è diffusa quanto è irrazionale. Infatti, "non occorre essere stupidi per fare sciocchezze". Il perfezionismo implica una indebita e illogica sovrapposizione tra "Io sono" e "Io faccio"; tra "Essere" e "fare"(che è una "modalità di essere", ma distinto da esso: Io sono una persona che fa, pensa e dice e ciò è assolutamente diverso da ciò che "IO sono").Infatti se commetto un errore non divento automaticamente "un cane" o "un cavallo": resto pur sempre un "Essere umano". Si tratta, pertanto, di due dimensioni irriducibili l'una all'altra. "L'essere" non ha un "valore"(almeno nel senso che gli attribuiamo comunemente noi) nè è "misurabile" poiché esso sembra conoscere solo due "stati" o "qualità": la qualità o lo stato dell'essere vivo o la qualità o lo stato dell'essere morto. Non ci sono vie di mezzo: o sono morto o sono vivo. Nessuna prestazione positiva o negativa che sia può influenzare questo stato di fatto: l'Essere. Inoltre parlare di "valore" di un essere umano è fuorviante poiché introduce il significato opposto di "non valore". Pertanto anziché dire: "Ogni essere è umano perchè vale" sarebbe meglio più realistico dire: "Ogni essere è umano perchè esiste". Si tratta "dell'autoaccettazione incondizionata di Sé" di cui il famoso psicologo americano, Albert Ellis, ha fatto la bandiera del suo approccio cognitivo alle nevrosi. Nel termine "esistenza" possiamo mettere tutto ciò che connota in modo peculiare ogni essere umano come: l'evoluzione, la complessità, la bontà, l'amore, la coscienza, i sentimenti. Perciò se è vero che le "prestazioni" hanno una valutazione sociale o "estrinseca" ciò non vale per "L'essere" umani che, piuttosto che avere un "valore intrinseco", possiede una "natura intrinseca irriducibile" e incommensurabile. Nessuna prestazione, per quanto disastrosa, potrà mai sottrarci la nostra "natura intrinseca" di "essere umani". Bene. Ho presentato alcune valide argomentazioni razionali e cognitive che possono essere illuminanti soprattutto se non siamo di fronte ad un perfezionismo rigido e assolutistico. Per coloro che fanno del perfezionismo uno stile di vita è più difficile aderire a qualsiasi argomentazione razionale e ad un'analisi cognitiva del problema. In effetti ciò è dovuto al "valore affettivo" che attribuiamo alle prestazioni, caricandole di un significato eccessivo e distorto. La necessità del bambino di adeguarsi alle richieste dei genitori per ottenere, in cambio, la loro approvazione e la loro accettazione ci ha portati a "sovrastimare" le prestazioni assumendole come misura del proprio "valore come persone". Come si vede, si tratta di un pensiero irrazionale indotto dai genitori e dall'ambiente in cui viviamo che ci offrono dei "surrogati affettivi" senza sapere il perchè, senza alcuna consapevolezza del problema di cui il perfezionismo dovrebbe costituire la soluzione. Ogni bambino si adegua e si adatta alle richieste e aspettative di tipo perfezionistico dei propri genitori pur di ottenere la loro accettazione..."condizionata". Già Epitteto, un filosofo greco presocratico parlava della "tirannia dei doveri" e metteva in guardia da questo "tiranno interno". Per venire a capo di questa matassa dovremmo ripercorrere a ritroso la nostra personale storia di attaccamento laddove si trovano le cause del perfezionismo. Allora potremo comprendere la sofferenza del bambino di non essere accettato a "condizione che". Capiremo che l'amore vero non è un "amore condizionato" alla perfezione delle proprie prestazioni e dei propri successi sociali. L'amore si dà come un dono gratuito  e incondizionato e non si aspetta  nulla in cambio. L'amore è discreto non è "proclamato" o "ostentato", altrimenti è "strumentale". L'amore  della mamma è gratuito e incondizionato: ti amo per ciò che sei: perchè sei tu; per la tua irriducibile soggettività. Per questo non c'è bisogno di caricare di significati eccessivi" le nostre "prestazioni" perchè il fare è un "costrutto prestazionale", mentre il "valore di Sé" è un "costrutto affettivo": entrambi non hanno nulla in comune e sono distanti come il cielo dalla terra.


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